sabato 19 gennaio 2013

Il caffè è democratico? Cosa si nasconde dentro una tazza.



Cari lettori, quanti di voi , almeno una volta nella loro vita, hanno corteggiato un sogno o un progetto davanti ad una tazza di caffè? Quanti di voi, almeno una volta al giorno, non hanno invitato collega, amico, partner (o sperato tale) a prenderne uno? Parliamo del caffè, bevanda ordinaria che non è consumata per dissetare, ma per svegliare la mente, per ‘preparare la bocca’ alla sigaretta,  mantenere la concentrazione e per incontrarsi. 
In Italia cominciò ad essere consumato  all’inizio del Seicento, poi in Francia fino a diffondersi in tutta Europa attraverso veri e propri centri di degustazione. Ma subito questa bevanda nera e amarognola cominciò ad assurgere a connotativo sociale: insieme al tabacco, contraddistingueva lo status benestante della borghesia europea emergente, soprattutto inglese, olandese e francese dove la bevanda diventava  un antidoto all’ozio e alla pigrizia provocate dall’alcool; in queste nazioni si sviluppò una vera e propria poetica sul  caffè,  destinata a divenire già nel Settecento una intramontabile moda.

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La bottega del caffè o  il Caffè era considerata uno spazio di civiltà, un’isola di sana e raffinata socializzazione da contrapporsi alla turpitudine delle bettole popolari: l’atmosfera era sobria e tranquilla, pregna di disquisizioni politiche, scientifiche, filosofiche  e letterarie. 
Ma cosa è rimasto dei vecchi  Caffè settecenteschi?
 Lo stile è cambiato, la componente fortemente erudita ed intellettuale è svanita con l’ andare dei secoli, ma quella magica associazione del caffè con la chiacchiera riesce a sopravvivere vittoriosa. Prendiamo un caffè? E’ la frase- tipo che introduce  un chiarimento,  una conoscenza, una pausa dalla concitata struttura del quotidiano.

Renoir 208x256 Lintramontabile moda del coffee break

E se si ha sempre meno tempo per fermarsi  ed indugiare, davanti ad una tazzina si corre anche il rischio di perdere una mezz’ora della propria giornata sedendo ad un tavolino e lasciandosi andare al vizio della conversazione. Il caffè, oggi come ieri, è un’occasione, un pretesto di socializzazione per quasi tutti :  anche se divide la popolazione nelle sue varie declinazioni di consumo (c’è chi lo beve  amaro, chi zuccherato, chi macchiato, chi corretto, chi lungo, chi all’americana), esso può considerarsi tuttavia uno dei pochi ‘vizi’ democratici che possiamo concederci: veloce, dietetico e soprattutto…economico!     
 Mi piace pensare che sia anche ‘artistico’ il momento di  siesta che il caffè comunemente rappresenta, in casa o in un qualsiasi bar di sorta: un esempio intramontabile è il dipinto di Pierre Auguste Renoir del 1879 Alla fine della colazione , in cui è rappresentato quel preciso istante che segue il consumo del caffè: due donne elegantemente abbigliate si abbandonano ad un sorriso compiaciuto davanti a due tazze raffinate, mentre l’uomo che le accompagna china su un lato il capo per accendere la sua sigaretta. 
Com’era  nel metafisico scenario del 1879, così è nella ressa verbale e temporale di oggi: una pausa e un sorriso si ritrovano nel  tintinnìo di una tazza che tocca il fondo del suo piattino.

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